di Marco Rotondi

Neurosystemics n° 23/2023

Remake


1. IL PROBLEMA

“Come faccio a spiegare al mio capo che dovrebbe lasciarmi più spazio per farmi crescere perché sono bravo e ho un mio modo di fare le cose che è efficace anche se non è identico al suo?” (un collaboratore)
“Come faccio a spiegare ai miei collaboratori che vorrei delegar loro attività sempre più sfidanti, ma non posso perché hanno poca iniziativa e non analizzano molti dei particolari importanti per poter risolvere i problemi con successo e con l’adeguato livello di qualità richiesto?” (un capo)
“Come facciamo a fare in modo che i collaboratori acquisiscano più leadership, si muovano con maggior autonomia e iniziativa alleggerendo il carico di lavoro dei loro capi che così potrebbero avere più tempo da dedicare ai progetti importanti e strategici? e come facciamo a fare in modo che i capi deleghino di più, siano meno accentratori, si fidino di più delle capacità dei loro collaboratori?” (un HR manager)
“Come faccio a far evolvere la cultura organizzativa di questa azienda? Siamo troppo lenti, il processo decisionale è lungo, la gente non è responsabilizzata a sufficienza, non prende in pugno le situazioni per guidarle dove vogliamo noi, le lascia scorrere… c‘è mancanza di leadership” (un DG)
Ecco alcune delle domande più frequenti che mi sento rivolgere quando lavoro per aiutare un’azienda lungo un percorso di change management.
Rappresentano quattro diverse voci e opinioni, ma in realtà sono solo diverse facce della stessa medaglia: se un’azienda vuole cambiare per evolvere e crescere occorre anche “mettersi “d’accordo” (e “segnalare opportunamente”) come occorre mutare il reciproco modo di comportarsi delle persone per renderlo più efficace e coerente con tempi e i nuovi obiettivi strategici.
Spesso le organizzazioni si focalizzano sugli aspetti hard del cambiamento:

  • utilizzano il “Business Process Reengineering” per passare da un’organizzazione per funzioni ad una per processi,
  • adottano una “lean organization” per abbassare il numero dei livelli della “piramide gerarchica” ed avvicinare i clienti al vertice aziendale,
  • operano ristrutturazioni e rotazioni di ruoli per ri-centrare gli obiettivi dei diversi job.

Tutte azioni importanti e strategicamente significative per imprimere all’azienda una configurazione più dinamica e orientata ai clienti. Però non bastano.

2. PERCHÉ UN SISTEMA DI COMPETENZE AZIENDALI (SCA)

Spesso si trascurano, infatti, gli aspetti soft.
Mi spiego meglio con una domanda:
“Siamo davvero sicuri che dopo aver operato tutte queste riorganizzazioni il comportamento lavorativo giornaliero delle persone che operano in prima linea e guardano ogni giorno in faccia i nostri clienti sia cambiato?”
Se la risposta a questa domanda indiscreta non è quella che vorremmo, vuol dire allora che dobbiamo agire in modo più incisivo anche sugli aspetti soft: sulle persone, sulle loro motivazioni e sulle loro competenze relazionali, cioè sul modo in cui lavorano insieme, sulle modalità con cui organizzano la divisione delle attività da svolgere, sugli stili con cui si rapportano e si coordinano.
Da questo punto di vista risulta allora importante la costruzione di un progetto strutturato che possa indicare la meta da raggiungere nello sviluppo di comportamenti organizzativi più efficaci per l’azienda e per le persone.
Un modello di questo tipo rappresenta in un certo senso simbolicamente un patto su come crescere sia per l’azienda sia per le persone.
Questo modello deve infatti saper rispondere a domande del tipo: “Come vogliamo che le persone si sviluppino e crescano professionalmente?”, “Cosa intendiamo, oggi in azienda, per eccellenza manageriale?”, “Quali sono le cose su cui occorre ed è opportuno focalizzarsi per accelerare un’evoluzione culturale che consenta all’azienda di andare nella direzione voluta?”

3. IL SISTEMA DI COMPETENZE AZIENDALI E IL PERCORSO PER COSTRUIRLO

Ora è chiaro che un progetto di questo tipo per la sua strategicità, complessità e ampiezza vada promosso, strutturato e coordinato dall’azienda, ma è anche chiaro che debbano essere chiamate a progettarlo le persone, che poi dovranno metterlo e farlo mettere in pratica: i “capi” (cioè tutti coloro che hanno la responsabilità di gestire altre persone).
Solo così, infatti, si può pensare che questi possano avere tutta la comprensione, il coinvolgimento, la motivazione, la determinazione necessaria per cambiare, sviluppare (e far sviluppare negli altri) le nuove competenze necessarie.
La costruzione del progetto delle competenze da sviluppare (chiamato in genere SCA – Sistema di Competenze Aziendali) mediante un percorso di co-makership che garantisca un elevato livello di partecipazione e condivisione rappresenta quindi un ingrediente fondamentale per avere successo nella sua successiva realizzazione, dal momento che le competenze non sono qualcosa di astratto che si possa scegliere, costruire e sviluppare indipendentemente dalle persone ma risiedono nel loro cervello, nel loro cuore, nella loro pancia.
Occorre inoltre che il SCA (Sistema di Competenze Aziendali) sia fortemente correlato e discenda da quelli che sono i valori aziendali (in genere raggruppati in un documento che viene chiamato “Carta dei Valori” o “Codice Etico” o “Patto Aziendale”) che rappresentano il patto di fondazione stessa dell’azienda.
L’applicazione del SCA (Sistema di Competenze Aziendali) in un’azienda rappresenta un cambiamento culturale profondo nello stile di conduzione delle risorse umane; infatti le attrae verso mete, piuttosto che costringerle verso compiti. Per arrivarvi occorre perciò intraprendere un percorso di medio-lungo termine di profonda trasformazione di tutta la cultura aziendale.
Questo percorso può essere schematicamente articolato in quattro fasi:

  1. costruzione del Sistema di Competenze Aziendali
  2. comunicazione del Sistema di Competenze Aziendali
  3. orientamento continuo dei comportamenti lavorativi quotidiani di tutti verso il Sistema di Competenze Aziendali
  4. misurazione sistematica della distanza dal target

La terza e quarta fase, spesso trascurate, rivestono invece un ruolo fondamentale per tutto il percorso: consentono di tradurre operativamente la strategia adottata dall’azienda. Rappresentano e misurano la distanza che bisogna saper percorrere fra “il dire e il fare”.

4. FRA IL “DIRE E IL FARE”

Solo se sappiamo colmare questa distanza avremo successo. Molte sono per esempio le aziende che dicono di porre il loro cliente al centro, ma poche sono quelle che sono realmente capaci di tradurlo in diversi comportamenti del proprio personale che lavora in prima linea coi clienti.
Se vogliamo che i SCA si riflettano nelle azioni quotidiane occorre che i comportamenti degli individui, dei team e dell’azienda siano allineati rispetto a quello che si è dichiarato di voler fare. In questo senso, il SCA viene a svolgere la funzione di guida, garante e facilitatore del cambiamento delle persone per metterle in grado di applicare, nella pratica di tutti i giorni, le competenze individuate.
Il processo di costruzione di un SCA (Sistema di Competenze Aziendali) deve allora prevedere, oltre a momenti coinvolgenti a livello cognitivo in cui scegliere e costruire le competenze, anche situazioni a forte impatto emotivo, capaci cioè di creare un forte commitment e mettere in moto un processo nel quale tutti i soggetti in gioco accettano di cambiare per migliorarsi.
Non si tratta, ovviamente, di cambiare la nostra personalità ma di aver voglia di agire comportamenti più efficaci; le esperienze mostrano come spesso bastano piccoli cambiamenti nelle nostre azioni ad innescare un circolo virtuoso di miglioramenti intorno a noi ed a far aumentare il nostro apprezzamento da parte degli altri.

5. IL RUOLO DEI CAPI

Viene così a svilupparsi un forte controllo sociale.
In questo senso il modo in cui i capi agiscono in realtà risulta avere una forte valenza (non solo simbolica); le persone guardano infatti con grande attenzione se il proprio capo agisce secondo le competenze dichiarate o meno.
Se, ad esempio, la valorizzazione e Io sviluppo dei collaboratori è una delle competenze dichiarate, tutti osservano se l’azione del proprio capo risulta effettivamente rivolta al coinvolgimento dei suoi collaboratori o meno.
I capi quindi, non possono dare un appoggio solo a parole, devono applicare per primi ciò che pretendono che gli altri applichino: “Se si vuole che le cose attorno a noi cambino è necessario, in prima istanza, mettersi in gioco e cambiare noi stessi per primi”.
I capi rappresentano quindi “la cinghia di trasmissione” del progetto aziendale, gli attori che sono chiamati in prima persona a costruire e a creare tutte le congruenze e le correlazioni possibili fra i modelli aziendali e le persone e la loro voglia e capacità di realizzarli.

I capi rappresentano “la cinghia di trasmissione”. Sono responsabili di realizzare le congruenze e le correlazioni possibili fra i modelli aziendali e le persone

6. SE CONTINUIAMO A FARE CIÒ CHE FACCIAMO OGGI, OTTERREMO I RISULTATI CHE RAGGIUNGIAMO OGGI… ANZI NEPPURE QUELLI

Crescere è un obiettivo che accomuna azienda e persone, un progetto in cui tutti possono effettivamente credere e remare nella stessa direzione; per questo sembra non esserci alternativa: o le persone accrescono ogni giorno le proprie competenze e l’azienda migliora la qualità prodotta e cresce, o si ritorna indietro; non voler cambiare, voler solo sopravvivere in realtà vuol dire peggiorare ogni giorno fino ad entrare in un loop regressivo. Meglio allora evolvere e crescere finché le cose vanno bene.

Tratto da “TeamERG – Aprile 2007″