Secondo i dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2020 la depressione sarà la malattia mentale più diffusa al mondo e in generale la seconda malattia più diffusa dopo le patologie cardiovascolari. La depressione è aumentata di quasi il 20% in dieci anni, e oggi ne soffre ben il 4,4% della popolazione mondiale. La depressione è più diffusa nei paesi economicamente poco sviluppati e nei paesi ricchi sono le persone povere a soffrirne maggiormente. E’ stato stimato anche un bilancio dei costi necessari al mantenimento e alle cure di una persona depressa, concentrando l’attenzione sul fatto che questa perde in produttività e difficilmente mantiene il posto di lavoro o trova un nuovo impiego (fonte: OMS).
Malattia nascosta e subdola, nei casi più gravi porta anche al suicidio, problema che rappresenta a livello mondiale l’1,5% di tutti i decessi e, in particolare, è la seconda causa di morte tra i giovani tra i 15 ed i 29 anni di età. Si pensi che nel 2015 ben 788.000 persone sono morte togliendosi la vita (fonte: OMS).
In questo scenario tutt’altro che roseo in cui la recessione economica si unisce alla crisi dei valori delle persone (e soprattutto dei giovani) è necessario un cambio di tendenza: mettere di nuovo al centro l’uomo e ridare valore al senso della vita. C’è bisogno di ritrovare una fiducia generalizzata, puntare ad una maggiore qualità nella vita privata e lavorativa e soprattutto rimettere al centro della propria vita il concetto di felicità.
Ecco allora che le aziende hanno l’opportunità di cogliere questi bisogni diffusi tra le diverse generazioni e trasformarsi in luoghi di lavoro felice, tali da produrre soddisfazione e benessere nelle persone che vi lavorano.
Allo stesso tempo gli individui possono cercare di vivere nel miglior modo possibile, cercando di custodire e di sviluppare da subito la propria salute fisica e mentale.
Concetti nuovi? Ne parlava già Adriano Olivetti in “Le fabbriche di bene”