Tuiavii, un saggio capo indiano delle isole Samoa compì un viaggio in Europa agli inizi del secolo XX, venendo a contatto con gli usi e costumi del “Papalagi”, l’uomo bianco. Ne trasse delle impressioni che gli servirono per mettere in guardia il suo popolo. Non era mai stata sua intenzione dare alle stampe questi discorsi, erano stati pensati solo per parlarne con i suoi amici polinesiani. Chi li trascrisse è stato Erich Scheurmann, amico di Herman Hesse fuggito nei mari del sud per evitare la prima guerra mondiale. Del lavoro del Papalagi, Tuiavii dice:
“Ogni papalagi ha un lavoro… – e con il tempo – sa fare una cosa sola. Il lavoro diventa un demone che ne distrugge la vita. Un demone che dà all’uomo allettanti consigli, e che però gli beve il sangue dal corpo.
E’ una gioia costruire una capanna…
Cosa direste se solo pochi uomini potessero andare nel bosco ad abbattere alberi per farne dei pali? E se questi pochi non potessero aiutare a piantare i pali, perchè il loro lavoro consiste solo nell’abbattere gli alberi e farne dei pali? E se quelli che piantano i pali non potessero intrecciare il tetto, perchè il loro lavoro è solo piantare pali? E se quelli che intrecciano il tetto non potessero aiutare a ricoprirlo con foglie di canna di zucchero, perchè il loro lavoro consiste solo nell’intrecciare tetti? E se tutti questi non potessero aiutare a raccogliere dalla spiaggia i ciottoli rotondi per ricoprire il pavimento, perchè possono farlo solo quelli che lo fanno per mestiere? E se infine potessero festeggiare e inaugurare la capanna solo quelli che vi abiteranno e non tutti quelli che l’hanno costruita?
Voi ridete e direste sicuramente : ‘Se potessimo partecipare solo ad una parte dei lavori senza fare tutto quello per cui è necessaria la forza dell’uomo la nostra sarebbe una gioia a metà anzi non lo sarebbe affatto’. E prendereste sicuramente per folle chi pretendesse da voi di utilizzare le vostre mani solo per uno scopo, proprio come se tutte le altre membra e tutti gli altri sensi del vostro corpo fossero paralizzati e morti…
Non conoscono la gioia del lavoro, perchè il mestiere distrugge ogni godimento, perchè dal loro lavoro non nasce nessun frutto… di cui poter gioire. Per questo negli uomini da lavoro cova un odio profondo. Tutti quanti hanno nel cuore qualcosa che somiglia ad un animale tenuto in catene … si confrontano con gli altri sul lavoro che fanno, colmi di invidia e gelosia: si parla di lavori superiori ed inferiori, anche se tutti i lavori sono lavori a metà.
Mano, piede e testa vogliono stare unite. Il grande spirito non vuole che ingrigiamo per i nostri mestieri e che strisciamo nella laguna come piccoli rettili. Vuole che rimaniamo fieri e giusti in ogni cosa che facciamo e sempre uomini con occhi gioiosi e membra sciolte”[1]
Se è pur vero che la complessità delle nostre società richiede la specializzazione del lavoro e quindi ogni papalagi “con il tempo sa fare una cosa sola” e media nel mercato e nelle organizzazioni, lo scambio del valore e quindi anche del proprio valore rimane aperta una domanda che il dito puntato di questo piccolo capo delle Samoa ci lascia come una spina nel fianco: “Mano, piede e testa vogliono stare unite”. La domanda è diretta e precisa alle nostre organizzazioni di lavoro e alla loro gestione.
L’organizzazione articolando il contributo di ogni lavoro esprime un gruppo oppure il suo potere gestionale è “catena”? Ingrigisce la voglia e il potere espressivo che il lavoro porta con sè o lo intreccia in relazioni (clima), che valorizzano i contributi e le eccellenze (produttività) condividendo possibilità decisionali (processi)?
Curare le organizzazioni con esperienze outdoor condivise è rispondere a queste domande senza lasciare questi organismi organizzativi fermi nei discorsi che fanno di sè, perchè “mani, piedi e testa – ma anche cuore – vogliono stare unite”.
Ecco che allora nei mesi scorsi a Catelvecchio Pascoli “su terreno neutro”, in una località “fuori”dai confini quasi 200 persone fra dirigenti di strutture mediche, infermieristiche e amministrative si sono confrontate dando ognuna il proprio contributo alla definizione delle ipotesi delle modalità organizzative e relazionali da attuare al momento della fusione di 4 Asl (Pistoia , Prato, Firenze, Empoli,) nella nuova ASL Toscana Centro.
Voluta dalla legge regionale n° 28 del 2015 sul riordino del servizio sanitario regionale questo nuovo organismo-organizzazione “gestirà la salute di più di un milione e mezzo di abitanti- all’incirca il 41% di quanti vivono in Toscana- residenti in 71 comuni e su una superficie di quasi il 21% del territorio regionale”.
IEN ha accompagnato questi processi complessi di fusione e riorganizzazione dei servizi sanitari. Il percorso formativo è stato attivato con un’esperienza di “mapping” e molti di questi dirigenti si sono trovati a camminare sulle indicazioni fornite da altri colleghi orientandosi o perdendosi nei boschi della Valle del Serchio [2]. Tra dialoghi su leadership e organizzazione, tra fantasmi e paure sul futuro di questa azienda gigante, si è parlato anche della propria posizione all’interno di essa (paure di demansionamento, di perdite di autonomia o economiche, di sovraccariro di funzioni ). Ci sono stati incontri tra amministrativi e medici su problemi su cui mai si erano confrontati prima, tra voglia di intervenire e dire la propria sul futuro di questa organzizzazione e stanchezza per la fatica mentale e di tempo che, anche solo il pensarla, costa, tra poteri vissuti come calati dall’alto e spazi di espressione che fanno presumere a partecipazioni dal basso.
Sono state così messe a fuoco le attività critiche di successo e le garanzie di risultato che le figure e gli organi di governo vecchi e nuovi dovranno presidiare.
Tra “ irriducibili campanilismi toscani” che risuonano perfino nelle intonazioni sonore degli interventi: la diversità è “una splendida ricchezza per certi versi, e una condanna per altri” e il dubbio se il titolo del workshop “Realizziamo insieme la nostra azienda” sia solo uno slogan oppure un invito costoso a realizzarlo sul serio.
Ogni giudizio sarebbe facile e fuori luogo, nel vero senso della parola, fuori dal luogo di chi sta digerendo questa faticosa e sfidante novità, di chi fa parte di questo nuovo organismo-organizzazione non solo nei discorsi ma anche con “mani, piedi, cuore e testa”. E se vogliamo appunto guardare alla nuova organizzazione come ad un unico organismo, torna allora ancora una volta, e ancora più incalzante, il monito di Tuiavi: “mani, piedi, cuore e testa vogliono stare uniti”.
Per lo staff di IEN che ha accompagnato il percorso dei partecipanti, nella speranza di essere d’aiuto, rimane ancora solo un consiglio da ricordare: Attenzione al diciottesimo cammello!
Frase enigmatica legata ad una antica fiaba araba raccontata da Marco Rotondi:
“C’era una volta un ricco sultano con molte proprietà e un prezioso branco di cammelli. Morì e nel testamento lasciò i cammelli ai suoi tre figli dividendoli in base all’età: il primogenito avrebbe avuto la metà della mandria, il secondo 1/3 e al più giovane ne spettava 1/9. Nessun cammello doveva essere ucciso.
Alla sua morte i cammelli erano 17 e questo numero impediva di realizzare le divisioni volute dal padre. Litigi e discussioni li obbligarono a chiamare un saggio che arrivò in dorso al suo cammello. Questi mise il suo cammello nel recinto e si fermò con i figli. Di lì andarono nella stalla e con grande sorpresa dei figli i cammelli ora erano 18: al primogenito ne spettavano 9, al secondo 6 e al più giovane 2. Nella stalla ora era rimasto 1 cammello su cui salì il saggio. I figli lo ringraziarono ma lui rispose che non aveva nessun merito, casomai dovevano ringraziare il diciottesimo cammello; e se ne ripartì”.
[1] Tuiavii di Tiavea Papalagi, Mille lire Stampa 1997
[2] M. Rotondi, 2017, Outdoor e Indoor in “L’agire organizzativo” a cura di Franco Bochicchio e P. Cesare Rivoltella.